2010-04-15

Giorgio Pezzin febbraio 2009, parte 3

More of the February 2009 Giorgio Pezzin interview.

Continuiamo con l'intervista a Giorgio Pezzin del febbraio 2009. Puntate precedenti: 1 e 2.

Come sempre potete scaricare l'audio in formato mp3, magari per ascoltarlo sul vostro lettore portatile; oppure, se avete il plugin di flash, potete ascoltarlo direttamente dal vostro browser utilizzando il player incorporato qui sotto nella pagina stessa.

Studio a matita di Roberto Marini per il personaggio Mary di Colleverde. Dall'archivio di Giorgio Pezzin, per gentile concessione.

GP: Infatti in questo nuovo fumetto che sto facendo per il prete, di cui ti dicevo, io lì ho voluto riprodurre più o meno il meccanismo di Topolino: c’è un eroe, un’eroina, tre bambini… però sono letture di solidarietà! Tra l’altro è nato perché io volevo parlare dei frati.

FS: Come si intitola questo fumetto?

Si chiama Colleverde. Ecco qua. Roberto Marini. Questi i personaggi principali: c’è lui e lei, due giornalisti con tre ragazzini. Ben disegnata, insomma. Sono avventure come potrei averle fatte per Topolino, per intenderci: c’è una specie di Banda Bassotti che sono i tre della Banda Volponi. C’è il convento di Colleverde, un convento di frati.

Esiste veramente?

No, non esiste, però è molto simile a un qualsiasi convento di frati. Un giorno parlo con questo frate con cui avevo già fatto dei personaggi anche con Cavazzano, per esempio Oscar e Tango. Gli dico: “Voi siete missionari, mi piacerebbe parlare con un missionario, così mi racconta un po’ di cose, qualche aneddoto che io potrei usare”. E mi fa: “Ma scherzi, i missionari non han tempo neanche di respirare! Questi non g’han miga tempo da perdere con ’ste robe qua! Loro sono sempre impegnati a fare il loro lavoro!” e poi ho scoperto che questi frati di Padova sono tutti missionari, francescani. I proventi della basilica servono per alimentare le missioni. Hanno la mensa dei poveri, per i pellegrini che vanno alla basilica. Tu con cinquemila lire mangi, ma una roba enorme! E se tu dici “non ho i soldi”, ti danno da mangiare lo stesso. Cioè, sono veramente frati; e poi, cosa che non sapevo, i frati adottano i bambini! Ci sono dei frati che hanno quattro o cinque figli! Sono padri adottivi di cinque figli! Gli fanno la patria potestà, quindi li mandano a scuola… io dico: ma ’ste robe qua, voi dovete dirle! Allora io ho inventato questo Colleverde che è un convento di frati che sovrasta una città. Il convento aveva un orfanotrofio. A un certo momento l’orfanotrofio ha chiuso. Sono rimaste quattro persone. Questo Robin è un ex trovatello che, da adulto, è diventato giornalista ed ha adottato gli ultimi tre bambini che erano rimasti là.

E questa bonazza in minigonna?

E questa bonazza in minigonna è una delle protagoniste! Infatti io ho detto ai frati: “Guarda che io ci metto una ragazzina!” E loro, “No, no, vai tranquillo!”, non mi hanno dato nessuna limitazione!

Sono abbastanza aperti, insomma, come datori di lavoro.

Mai capitato! Prima volta. Ecco, guarda che bella qui, guarda che razza di ragazzina…

E questa come è rispetto a quella che tu avevi immaginato prima che fosse disegnata la prima volta? Assomiglia a quello che tu pensavi?

Sì, assomiglia molto perché l’abbiamo fatta insieme e mi interessava molto che fosse fatta così, infatti gli ho dato anche dei model che avevo trovato su internet. Volevo una bella ragazza, insomma! Dopo si è evoluta…

…ci sono le curve nei punti giusti…

Sì, sì. Guarda che è molto carina!

Studio a matita di Roberto Marini per il personaggio Mary di Colleverde. Dall'archivio di Giorgio Pezzin, per gentile concessione.

Quando tu definisci una serie, hai delle sessioni in cui state insieme nella stessa stanza, sullo stesso tavolo?

No no, lui abita a Roma. Io gli ho dato un paio di idee come schizzo e lui me le ha elaborate e ha fatto un bel lavoro. Io qui ero partito con un altro disegnatore, molto inferiore; dopo ha ritardato e io avevo trovato un altro disegnatore per andare avanti, perché qui è una storia di cui sono io il proprietario, nel senso che scelgo io anche il disegnatore. Gli dò tutti i diritti d’autore, però io decido sulla storia e sulla serie. E abbiamo già fatto 5–6 storie, sono di 50 pagine l’una, guarda che belle, e lui è molto bravo. È un ex disneyano, comunque! Sono belle storie, che io avrei fatto volentieri per Topolino; però adesso me le faccio per me e ci ho messo dentro tutte quelle cose che in Topolino non potevo mettere, per esempio la bella ragazza. E il frate non mi ha detto di no: anzi mi dice “No no, devi metterla!”.

Parlando di Disney: quando tu facesti queste prime storie con Giorgio Cavazzano, decidesti di farle per la Disney perché Giorgio era già in Disney o perché Disney era il tuo ideale?

Perché Giorgio era già in Disney. Ho fatto Topolino perché in quel momento lì lo conoscevo e perché Cavazzano faceva Topolino. So che lui si lamentava un po’ di certe storie, diceva “Mi piacerebbe far delle storie più…” Aveva proprio voglia, lui, inconsciamente, perché lui in realtà cercava un ripassatore, quindi non era partito con l’idea di cercarsi uno sceneggiatore. Le cose sono nate quasi per caso: io non sapevo che lui era alla ricerca di queste cose; forse non lo sapeva neanche lui! A volte ti capita l’occasione. Certo che avevamo un’intimità… pensa che abitavamo a 50 metri! Io attraversavo la strada e andavo a casa sua!

Come vi siete conosciuti?

Ci ha presentati un comune amico. La sera andavamo in Piazza Ferretto, a Mestre, a fare lo struscio. E un amico che era in classe con me al liceo mi dice: “Giorgio, c’è un mio amico che cerca un disegnatore. Tu che sei bravo a disegnare, prova.” E mi presenta Cavazzano. Tutto lì. “Sei capace di ripassare? ” “Non lo so”, dico. “Dai, vieni a casa mia.” “Dove abiti? ” “In Via Tevere”, che ti dico era proprio 50 metri da casa mia. Vengo lì, provo. E abbiam provato a ripassare, ho fatto anche esercizio, un paio di mesi, però ci voleva troppo tempo, perché lui era anche esigente! Lui era già bravissimo, ripassava per Capitanio, quindi era proprio un professionista del ripasso, chiaro che io in due mesi non potevo…

Lui ripassava per Scarpa, altro che per Capitanio!

Per Scarpa, sì; e mi diceva “Ci vorranno un paio d’anni perché impari”. Ma io: “Non posso studiare due anni, io devo anche studiare, no? ” e quindi: “Allora fai così, perché non scrivi una storia? Ti dico io a chi mandarla.” E così è nata. Allora così, ho scritto la storia e l’ho mandata, e basta. Ma senza ansietà, perché io tutto sommato ero preso da altre cose.